Agosto 2010

Nel 1992 feci un trekking con il WWF. Appena diplomato, non avevo mai girato da solo: fu un bel salto, una prova di indipendenza che mi piacque molto. Nei giorni precedenti mi avvicinai a Perugia con il cugino di mio padre che mi portò a visitare per la prima volta San Leo.
Il paesino sorge in provincia di Pesaro e Urbino, e si trova nell’entroterra marchigiano, vicino a San Marino e a neanche un’ora dal litorale adriatico. E’ noto per la sua Rocca, magistralmente appesa su una rupe, veramente inaccessibile ed utilizzata per scopi militari fino all’ultima guerra. Il paese è decisamente grazioso e inserito nel circuito dei Borghi più belli d’Italia.
Ci sono tornato nel 94, nel 98 e… ovviamente oggi.
La prima volta mio cugino mi portò a visitare il Bar Cagliostro, di proprietà del Signor Leardini, che è anche titolare di un Liquorificio. Qui provai un amaro che mi piacque parecchio.
Non so cosa ci mise dentro il Signor Leardini: io per certo ci misi la prima volta in centro Italia, un borgo ancora non troppo conosciuto, una cosa fatta artigianalmente e che si poteva comprare solo lì.
Ogni volta che sono tornato a San Leo mi sono fermato da Leardini, sempre vigile e affabile nel suo bar.
Oggi sono tornato con la famiglia e mi sono fermato per il solito caffè e per fare quattro chiacchiere con il proprietario. Ho fatto rapidamente due conti, dalla prima volta che sono venuto qua sono passati diciotto anni.
Ma quanti anni ha il Leardini? Non lo so, ma mi bevo un bicchierino del suo liquore, bevo il mio caffè e mi guardo in giro mentre vedo il bar riempirsi per un temporale estivo.
Il bar del signor Leardini non sembra neanche un bar vero e proprio: bottiglie di liquore dappertutto e la macchina del caffè.
Niente espositori ricchi di clamorosi e colorati snack, patatine, poster dei gelati, frigoriferi della Coca Cola colmi di bibite refrigerate e birra.
Il bancone è sempre quello, lui pure.
Gli altri bar sono sicuramente più colmi, il bimbo entra per il gelato, il marito prende il caffè, la moglie va in bagno.
Qui ci sono due croissant confezionati messi in un angolo dietro ad una tendina, forse per accontentare i rari bimbi che entrano in questa rivendita di liquori amalgamata con il bar.

Un temporale estivo soprende molti visitatori e il bar si riempie con la stessa velocità con cui sono arrivate le nuvole.
Una famiglia si siede mezza bagnata e alla richiesta della cioccolata viene scovata l’ultima bustina, la botta di clienti sorprende il Signor Leardini e la sua aiutante.
Osservo i clienti e vedo come si guardano in giro in questo bar atipico, dove devono pagarsi il diritto di stare al riparo della pioggia, usare un bagno e quindi ordinano il caffè.
Qualche lungimirante assaggia gli amari e il Leardini si attiva, racconta brevemente delle proprietà del suo liquore e mostra con mestiere un barattolo che contiene le erbe da cui ricava per infusione i suoi prodotti.
Gli si illuminano gli occhi, il passo si fa scattante e i modi si fanno ancora più gentili.
Mi viene in mente l’ufficio. Quando si parla di target, quarter, budget, revenue. Poi si va a pranzo e qualcuno parla del figlio appena nato. Estrae la foto dal telefonino e gli si accende un sorriso: e si comincia a parlare di Vita e non di fatturati.
Leardini serve il caffè, ma sono i suoi Amari, le sue Creature, che lui vuole far conoscere.
Esco dal bar, stringo la mano al Leardini ed esco ad acchiappare il resto della famiglia.
Mentre arrivo nel centro del paese comincia a salire verso la superficie un sentimento che faccio fatica a decifrare.
Guardo la bella piazzetta adornata di piccole case di pietra gialla e ocra, tipica delle Marche.
Penso al Tempo che passa, alle cosa che scompaiono.
E penso al Leardini, al fatto che quando tornerò la prossima volta forse vedrò un bar finalmente moderno e fine, un bancone nuovo in wengè, un rutilante frigorifero affastellato di bibite diacce, i turisti finalmente accontentati.
Torno indietro, voglio parlare con il Leardini, voglio parlare con una persona, capire la sua vita. Non ho le lancette che mi schiacciano come al solito e complice la fine del temporale il suo bar è più vuoto e lui ha tempo per me.
Mi chiede se sono un giornalista e io tiro fuori una poco convincente storia di collaborazione con una rivista per motociclisti.
E così mi prendo i pezzi di puzzle che mi mancavano.
E scopro che ha cominciato a fare liquore nel 58.
Miseriaccia, sono cinquantadue anni che fa amari.
Ma la domanda è quella, che mi preme.
Come faccio io a trovare il Leardini nel suo liquore, quando mio figlio arriverà a toccare il bancone e a chiederne un bicchiere?
Mi guarda e inclina il capo con un sorriso enigmatico.
Niente figli, niente eredi.
Sono arrivati in tanti a chiedergli di cedere l’attività, a parlare di fatturati, di numeri, di ricavi.
Ma lui non vuole che il suo amaro diventi qualcosa di remunerativo. Lui non vuole che si venda al di fuori del suo bar.
Lui fa quello che fa perché ama farlo, perché gli piace il suo lavoro e vuole che venga fatto “come Dio comanda”.
Vuole che il suo personale venga pagato bene, perché così le persone lavorano volentieri.
Le sue mani si trattengono a fatica mentre l’orgoglio di aver fatto qualcosa di suo traspare da ogni espressione del viso.
C’è un pezzo di mondo in cui l’accumulazione del capitale, reinvestito per creare ricchezza, non funziona.
In cui le economie di scala e le analisi dei processi non attecchiscono.
In cui il prezzo di vendita copre le spese e dà il guadagno che serve per mettere qualcosa da parte per la vecchiaia.
Mi accorgo che si possono vendere delle cose senza che il simbolo dell’Euro o del Dollaro o dello Yuan siano la dinamiche principali, ma solo il sostituto di una forma più evoluta del baratto, e niente più.
Mi accorgo di come gli ideali siano forti, di come sostengano l’Uomo e lo facciano rimanere forte. Di come poche grandi certezze diano più forza di tanti averi.
Facile dirlo: più difficile mandare giù il litro di saliva che monta quando guardi l’ultimo modello della Ducati dalla patinata superficie della tua rivista preferita.
Di quando in macchina ti passano tutti mentre arranchi sulle salite delle strade di collina con la tua Fiat del millenio passato.
A Leardini questo non interessa. Non vuole che il suo Amaro venga fabbricato con un grammo in meno di ingredienti.
Alcool, erbe aromatiche, Spirito.
Ci stringiamo la mano per tanto, tanto tempo. Vedo un mondo che lentamente si estingue mentre uno nuovo ne prende il posto.
Vedo il raviolo che sparisce mentre il fagottino di sfoglia con farcia alle erbe fini avanza.
Vedo il minestrone morire dentro al consommé di verdure all’italiana.
Il Leardini questo non lo vuole. Piuttosto si porterà lietamente nella tomba la certezza che le cose vanno fatte in un certo modo, senza compromessi.
O non si fanno.
Ecco il perché del suo sorriso sottile. Non ha rimpianti, non ha rimorsi. Dall’alto dei sui 85 anni non ha più paura di queste cose.
Ti invidio Leardini, Dio quanto ti invidio.
Schwarz.